IL PROTEZIONISMO VERDE E IL GLOBAL WARMING

L’ecologia non è più di sinistra. Ora è la bandiera dei protezionisti, siano essi di destra o di sinistra.  Il premier francese Sarkozy il 25 marzo scorso ha proposto, in occasione di una conferenza stampa a Saint-Quentin (Francia), l’applicazione a livello europeo di un dazio verso le importazioni non eco-compatibili dei Paesi extra UE. Pochi giorni prima, l’amministrazione Obama aveva proposto l’adozione dello stesso strumento suscitando durissime reazioni di alcuni Paesi come Cina e Messico. Questa sorta di dazio “ ambientale” sarebbe, secondo i suoi sostenitori, un’arma efficace contro i Paesi che non rispettano le regole ambientali che molti Paesi industrializzati impongono alle loro imprese ( carbon tax). Una tassa, secondo le parole di Sarkozy, che permetterebbe di far partecipare le importazioni al Al Gore da inserire all'interno del mio articolofinanziamento della protezione sociale nazionale.

Sappiamo bene che ci vorranno degli anni prima che molti Paesi in via di sviluppo possano adeguare il proprio sistema industriale agli standard ambientali dei Paesi più ricchi. Nel dicembre prossimo, sotto l’egida delle Nazioni Unite, si terrà a Copenaghen il vertice mondiale sul clima con l’intento di varare un nuovo protocollo climatico sostitutivo a quello di Kyoto. Un costosissimo Kyoto II. La strada sarà lunga, anche perché molti Paesi in via di sviluppo hanno qualche difficoltà a capire questa nuova filosofia ambientalista. E soprattutto non riescono a capire perché l’Europa sarebbe pronta a stanziare in loro favore dei fondi di sostegno all’ambiente ( per ridurre le emissioni di CO2 e investire in energie rinnovabili), piuttosto che ad aumentare i programmi di sostegno allo sviluppo, oltre a tassarli sulle importazioni non eco compatibili. Questo è quello che si evince dai risultati del vertice di Bruxelles sul clima, di qualche giorno fa.

Ormai, da qualche anno a questa parte, la minaccia del global warming, non contestualmente provata da tutti gli scienziati, impone l’agenda politica in tutti i summits  mondiali. L’ignoranza in materia fa si che capi di Stato si lancino in proposte assurde, come l’obbiettivo di contenere nella misura di due gradi celsius l’aumento inevitabile della temperatura del pianeta. Quasi che il pianeta avesse un termostato regolabile ( si veda la conferenza delle Nazioni Unite  sul clima a Bali nel 2007 e l’ultimo G8 dell’Aquila). Molti scienziati di comprovata competenza sostengono che a determinare l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera contribuiscano in gran parte fattori naturali come le masse oceaniche e che l’attività antropica contribuirebbe per un modesto 5%. Per di più, sostengono che è il sole e la sua attività, il principale fattore di diminuzione o aumento della temperatura. L’aumento della temperatura faciliterebbe un maggior rilascio di anidride carbonica da parte degli oceani. L’anidride carbonica aumenterebbe quindi proporzionalmente alla temperatura e non viceversa. Questo vuol dire che tutti i nostri più nobili sforzi non riuscirebbero in alcun modo a contenere l’aumento della temperatura e i cambiamenti climatici che ne deriverebbero.

Inoltre non è provato il fatto che la temperatura possa continuare ad aumentare nei prossimi anni con la stessa tendenza estrapolata dalle rivelazioni climatologiche di poco più di mezzo secolo. Una scienza, la climatologia, nata negli anni quaranta del secolo scorso (1) e solo ultimamente perfezionatasi grazie alla molteplicità delle rivelazioni satellitari e dei modelli matematici applicati alla tecnologia informatica. Lo studio dei glaciologi, utile ad analizzare i contenuti di anidride carbonica nel ghiaccio perenne dei poli, dimostra che ci sono state in passato ere fredde e calde sulla base delle analisi del contenuto di Co2 rilevate nelle stratificazioni profonde del ghiaccio artico. Il fatto che il medioevo abbia vissuto un periodo più caldo è dimostrato da antichi manoscritti e da tali analisi. Eppure non ci risulta che città limitrofe al mare siano state sommerse dall’acqua a causa dell’aumento della temperatura.

Ma i danni maggiori di questa ondata di pessimismo ambientalista li ritroviamo nei costi che i Paesi industrializzati e non dovranno sostenere per arginare tale fenomeno, presupponendo  a priori, che l’attività antropica sia la causa maggiore del cambiamento climatico in atto e che i costi dell’inazione siano pari, se non maggiori a quelli dell’azione. Sulla linea di questa politica forsennata l’Africa chiederà al prossimo vertice di Copenaghen un indennizzo di tre miliardi di dollari per i danni causati dalle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati  al continente africano, resi evidenti dall’avanzamento dei deserti e  dall’erosione delle coste. Un modo indiretto per ottenere sussidi allo sviluppo e sostegno a quelle stesse limitazioni ambientali che i Paesi industrializzati vorrebbero imporre a chi non si adegua agli standard di Kyoto.

Ma non sarebbe meglio procedere verso una politica dei piccoli passi e dei costi ragionevoli, visto che non siamo noi i principali responsabili dell’aumento della temperatura del pianeta? Non sarebbe meglio investire nella ricerca sui cambiamenti climatici, una ricerca che ci aiuterebbe a capire meglio tale fenomeno? A continuare ad investire  nella cultura del rispetto dell’ambiente e nella ricerca sulle energie alternative (comprese il nucleare), piuttosto che limitarci ad imporre limiti perentori sulle emissioni di gas serra e ad applicare dazi ingiusti a Paesi che non hanno né la tecnologia né  i mezzi per adeguarsi in breve tempo ai nostri standard ?

Friedrich Magnani, Le Point International

(1) Il geofisico e climatologo americano di origine tedesca, Helmut Landsberg, fu il primo negli anni quaranta ad utilizzare l’analisi statistica nella climatologia, assegnandole lo status di scienza vera e propria.

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